Politica tra disinteresse e curiosità…(pensieri sparsi un anno dopo)

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Feb 4, 2014 dbnews, DBPensiero 0 1292 Views

Oggi ho partecipato ad un convegno organizzato dalle ragazze e dai ragazzi del Tulliano, liceo storico di Arpino…avete presente il certamen ciceronianum? Ecco…proprio lì

Parlamentari nazionali ed europei, consiglieri regionali, consiglieri comunali e 3 minuti per rispondere ad una prima domanda, 2 minuti ad una seconda…insomma ritmi europei per cercare di avvicinare due mondi che paiono distanti.

 

Devo dirvi che mi è piaciuta fin da subito, l’ambiguità del titolo scelto per l’evento. Disinteresse di chi? Della politica verso i cittadini, disinteresse dei cittadini verso la politica o entrambi? Difficile in 3+2 minuti dire tutte le riflessioni che ho fatto, in un momento in cui, non vi nascondo che mi sta tutto un po’ stretto.

I ragazzi mi hanno chiesto quale cursus honorum politico mi ha portato ad essere candidata per le regionali, quale esperienza politica …in effetti nessuna se alla politica continuiamo a dare il significato a cui ci hanno abituato questi ultimi 25 anni. Ma molta, se invece, penso al mio modo di intendere l’agire politico quando si ha la possibilità, per i ruoli che si esercitano, di poter incidere sul cambiamento. E allora, può darsi che, la scelta di candidati che venissero dal mondo della cittadinaza attiva, sia parsa in un certo momento l’unica risposta plausibile ad un declino e ad una deriva che pare inarrestabile….Meglio versus peggio? Non lo so. Ma di certo c’è il fatto che il problema italiano, di una democrazia fragile che stenta a produrre beni pubblici e a guidare l’innovazione, è ancora i n piedi, è ancora lì dalla grande frattura che si è compiuta negli anni ’90.

Gli anni in cui si affermò l’età del potere incontrollato, del governo senza reti e procedure di controllo. Quando al sistema partitocratico di occupazione della vita pubblica subentrò una terra di nessuno, sprovvista di attori politici organizzati. E’ qui che inizia la deriva del populismo, che diventa così, il contrassegno di una stagione del deconsolidamento democratico. Si assiste ad una caduta verticale della mediazione e alla reinvenzione improvvisata di nuove tradizioni e identità. La quotidiana misurazione dell’indice di popolarità soppianta ogni elaborazione strategica. Non ci sono più antenne piantate nella società. E in queste condizioni è difficile costruire in anticipo una proposta audace e gli orientamenti, che per definizione dovrebbero precedere l’azione, in realtà non servono più a nulla perché ciò che conta sono i sondaggi e sono questi che determinano gli orientamenti. E così il sistema politico non ha più gli strumenti per gestire i contraccolpi di una innovazione continua, come quella che accompagna l’economia della conoscenza.

Se proprio dovevamo vivere una breve stagione di grande coalizione, avremmo dovuto pensarci 23 anni fa. E’ allora, quando i partiti storici versavano in uno stato di avanzata decomposizione, che avremmo dovuto avere il coraggio di impostare una nuova legge elettorale e guidare le tappe di una incerta transizione.23 Anni dopo. E nel frattempo ci siamo limiatti a circoscrivere la temporalità della nostra repubblica. Prima repubblica, seconda repubblica…e ora qualcuno azzarda l’avvio della terza repubblica. Ma nonostante le grandi discontinuità politiche che si sono verificate negli anni novanta, l’Italia rimane pur sempre la repubblica democratica ed antifascista nata nel’46. Concordo con chi scrive che quello di cui possiamo parlare è un passaggio di sistema politico, un mutamento di culture e di attori senza crollo e modificazioni della costituzione. Perché se partiamo da qui, partiamo da un dato reale, non da un virtuosismo linguistico. Perché un sistema politico non è una costruzione artificiale, ma è il risultato di un sistema di valori, di processi, di regole e di istituzioni, di culture, di fratture che storicamente si sono presentate.

E se ogni sistema politico è l’organizzazione di fratture storiche che durano nel tempo, allora  possiamo dire che l’Italia repubblicana ha finora espresso  due sistemi politici quello della mediazione, del paradigma consensuale e quello contrassegnato da una inclinazione all’immediata relazione con l’opinione pubblica e dal rigetto delle mediazioni. E in queste condizoni la politica ha operso il suo ruolo. Perché operare nel vuoto delle mediazioni ha costretto a politica ad inasprire il linguaggio, semplificare i temi, banalizzare il messaggio. E vero che il populismo ricalca una antica tradizione italiana ostile all’idea stessa di politica e su un debole civismo democratico che declina ogni etica della responsabilità, ma è essenziale un rilancio sistemico della rappresentanza e dei luoghi di mediazione. Ed oggi più che mai c’è bisogno di tutto questo. Poteva salvarsi il sistema politico?

Quando nel ’93 la commissione bicamerale licenziò un progetto di revisione costituzionale che prevedeva la legge proporzionale alla tedesca con sbarramento al 5% e il cancellierato, avremmo potuto credreci di più? Un parlamento delegittimato, i partiti abdicarono ad una visione sistemica e affidarono la ricarica etica del sistema al voto con il sistema maggioritario. Si optò per l’indeterminato, tralasciando una guida coerente dei processi di transizione. Un sistema politico quello attuale, quindi nato sull’orlo del precipizio e che non accenna ancora a stabilizzarsi.

E ALLORA IN QUESTO QUADRO, IN QUESTO SCENARIO, CHE COS’E’ LA POLITICA, COSA SGNIFICA FARE POLITICA?

Più o meno un anno fa mi stavo facendo questa domanda. E la risposta a questo interrogativo diventa ogni giorno più difficile, soprattutto nella nostra provincia. IO credo che la politica debba essere il mezzo con cui un Paese affronta i suoi problemi, con cui i cittadini partecipano alla vita pubblica e con cui si gettano le basi per un futuro migliore.

La politica dovrebbe concorre anche alla creazione di una giustizia sociale, in cui ad ognuno sia data la possibilità di vivere degnamente, con l’accesso a cure mediche, cultura e lavoro.

ESISTE UN NESSO STRINGENTE TRA IL RICHIAMO COSTITUZIONALE AL LAVORO E LA NOZIONE INCLUSIVA DI CITTADINANZA. Senza un riferimento al lavoro è difficile pensare a un’idea di cittadinanza come portatrice di alcune piccole  libertà solidali. Per dirla con Aristotele, si può asserire che l’idea di bene collettivo contenuta nella costituzione ruota proprio attorno alla centralità del lavoro quale chiave di accesso anche ai diritti di cittadinanza.

Un’uguaglianza non annientatrice delle differenze ma creatrice di opportunità che permettano tutti di dare il proprio contributo al Paese. Per fare questo, la politica dovrebbe guardare soprattutto a cosa succede nella realtà, uscire dalle stanze dei palazzi e confrontarsi con i territori, ma non solo. Dovrebbe anche, e soprattutto, farsi portatrice di un sentimento comune, di un agire comune nell’interesse generale. Ma siamo in questa situazione?

Dai dati che emergono dell’indice di corruzione su 177 Paesi del mondo l’Italia risulta 69° in coabitazione del Kuwait e della Romania. A questo si aggiunge che negli ultimi 10 anni è aumentato il divario tra crescita del Pil e volume degli stipendi. Cosa vuol dire questo? Che è peggiorata la distribuzione delle ricchezze, i più ricchi sono sempre più ricchi, e i più poveri sono sempre più poveri.

Anche se forse, al di là di freddi numeri, il polso della situazione sulla salute della nostra politica ce lo dà la situazione del nostro territorio. Dal tema della Valle del Sacco a quello dello sviluppo sostenibile, passando per l’agricoltura, l’innovazione, il lavoro, siamo rimasti fermi a guardare che gli eventi facessero il loro corso, senza gestirli.

Industrie che hanno spremuto e inquinato la nostra terra, per poi andare via senza lasciare nulla,  assolutamente nulla.Spreco di risorse pubbliche in progetti inutili e scollegati tra loro, incapacità di dare un’identità, di indicare una via per lo sviluppo. E’ stata questa la politica che ha governato il nostro territorio, bisogna dirselo. Certo, non tutto è da buttare e rinnegare, ma io sono abituata a valutare in base ai risultati. E i risultati sono pessimi. Parlaimo di rappresentanza. Evidentemente in molti hanno creduto che ”La politica è forse l’unica professione per la quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione.” Forse la scommessa di una vera classe dirigente l’abbiamo persa quando fare politica è divenuto un mezzo per cambiare il proprio sttus sociale e non più il perseguimento di un interesse culturale istituzionale…. Abbiamo avuto, e continuiamo ad avere, rappresentati che non hanno mai mostrato alcun talento, se non machiavellici interventi per dare un contentino a questo o quell’amico, senza lungimiranza, senza visione di un domani.

Questo succede a tutti i livelli della politica territoriale, e soprattutto, nella maggior parte delle amministrazioni locali dove, con il nostro voto, stiamo selezionando una classe dirigente che non sarà in grado di tirarci fuori dalle secche… perché non vuole, dirà qualcuno. No, perché non sa, perché è “usa obbedir tacendo” non per abnegazione ma per mediocrità.

Capisco di usare delle argomentazioni forti, e che l’onestà intellettuale e la verità fanno a pugni con il fare politica, ma ci troviamo in una situazione troppo seria, troppo delicata per continuare a far finta di nulla.Da anni il nostro territorio non è in grado di stare sui tavoli che contano e tutte le volte che ha ricevuto qualcosa è stato per concessione. E’ mancata una programmazione, un’idea di sviluppo, un’idea di società. Si è rincorsa la poltrona e i voti senza comprendere che il voto popolare non è l’obiettivo, ma lo strumento, un’attribuzione di responsabilità che deve pesare sulle spalle di chi la riceve.

Lo so che così parlando allungo la lista dei miei fan, quelli che suggeriscono a qualche amico accondiscendente di scrivere che qui andiamo in giro a tagliar nastri (…magari ce ne fossero da tagliare). Io sento una responsabilità forte, ma non la responsabilità del comportarsi bene e con rispetto dei cittadini e della cosa pubblica. Questa è una responsabilità scontata e diffidate di chi ne parla troppo. Sono stata eletta nel listino del presidente e forse proprio per questo su di me deve gravare un peso ancor maggiore: quello di dare un futuro concreto e di ampio respiro a noi e alle generazioni che stanno venendo su. Vorrei, anzi voglio, essere giudicata dai risultati, dal cambiamento che sarò in grado di avviare, dal miglioramento della vita dei miei concittadini, tutti e non solo la risposta debole e servile a qualche gruppo di potere locale. Oggi abbiamo perso autorevolezza, l’abbiamo indebolita con anni di scandali e comportamenti che , seppur legali, hanno mostrato una politica che si fa privilegio. Un’autorevolezza che stento a riconoscere in personaggi che non hanno dato nulla a questa terra, se non farla salire alla ribalta nazionale per comportamenti che hanno allontanato i cittadini dalla politica. Una politica che si è trasformata in privilegio, in spartizione di torte e nomine. E poi quella meschinità che per mezzo titolo sul giornale porta qualcuno a muoversi goffamente, magari tentando di usurpare (e affossare la portata sistemica) di idee e progetti, disconoscendo il mio lavoro e l’attività di un intero gruppo di lavoro.

E la cosa che mi preoccupa di più è che queste persone sono ancora lì, nel loro ruolo suffragato dal voto popolare. Non prendetemi per antidemocratica, consideratemi semplicemente preoccupata.

Sono amareggiata per  quest’incapacità di reagire e mi irrita, non sapete neanche quanto, il “sono tutti uguali” così come le becere e inutili proteste di qualche gruppo politico che non ha nulla da proporre. Così si è diventati complici di un sistema che continua a indebolire la nostra provincia, addebitandosi meriti che non possiede e sollevandosi da responsabilità che invece ha avuto.

Padri di famiglia, genitori impegnati che cercano disperatamente una prospettiva, un futuro per i propri figli, giovani alla ricerca di una strada, sottopagati e alcune volte sottopagati che devono inchinarsi al potente di turno, il ras locale, per uno scambio, mai alla pari, tra il proprio diritto al voto e una promessa non mantenuta.

Questa è stata la politica oggi in provincia, che potrebbe essere facilmente riassunta nella frase dell’Amleto di Shakespeare “Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù stessa deve chiedere perdono al vizio, si deve inchinarsi a strisciare”.

Io, in questo mio ruolo, sto provando ad invertire la rotta, siamo tornati in più tavoli a parlare di idee, progetti e speranza, sto provando a farlo con un intenso lavoro di connessione e contaminazione, cercando di far dialogare tutto il territorio, coinvolgendo nelle decisioni i soggetti attivi del territorio. Questo perché  vorrei che il mio ruolo fosse usato con forza dai cittadini ciociari ed arrivare sui tavoli, sicura di avere accanto a me un’intera provincia, in modo autorevole forte, per far sì che su quei tavoli non sieda “Daniela Bianchi” ma un’unica forte volontà fatta di mille sfumature, con il suo carico di eccellenze, virtù e capacità. Da qui  passa la differenza tra il muoversi per 100 sporchi voti o mettersi in ascolto e determinare un cambiamento, incidere sul destino delle persone e in meglio. Per questo mi piace parlare di valore del Consenso …e non di ricerca del consenso…Per guadare al futuro con un rinnovato spirito di speranza e trepida attesa, senza paura. Come scrive nel suo libro Cazzullo, Basta Piangere, non ho nessuna nostalgia del tempo perduto. Non era meglio allora. È meglio adesso. L’Italia in cui siamo cresciuti era più povera, più inquinata, più violenta, più maschilista di quella di oggi.. Era un Paese più semplice, senza tv a colori, computer, videogiochi. Però il futuro non era un problema; era un’opportunità.

Vorrei, anzi, voglio proprio questo, che il futuro torni ad essere un’ opportunità. E allora, mi muovo, non sto ferma, mi rimbocco le maniche e mi frulla in testa ….come un Big Bang…un’idea programmatica, si chiama HUB 91, di cui vi anticipo una sorta di manifesto programmatico, perché il futuro potrà tornare ad essere un’opportunità se NOI torniamo a credere che:Ogni territorio è un organismo vitaleOgni cittadino è parte della vita e del destino del proprio territorioNon è sufficiente abitare i luoghi per ricavarne tesi critiche e spunti polemici.Solo un’interazione multilivello consente di esercitare pienamente il diritto di critica, che poi diventerà dovere di proposta.Siamo qui per proporre Proporre strade, progett iProporre con condivisione e competenzaAzzerare gli stessi progetti se condivisione e competenza ce lo suggeriscono.Siamo qui per definire le vociTrasformarle in futuroEvitando la retoricaLa tatticaLa strategia.Rifiutiamo i preconcettiAndiamo sempre a verificare.Sono nostri interlocutori i politiciMa anche le associazioniI singoli cittadiniI sognatori impenitenti Perché in fondo abbiamo bisogno di ideePerché comunque siamo ottimistiSempre daniela bianchi 1 febbraio 2014(all rights reserved)

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