Dir-si democratici

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Ott 13, 2013 dbnews, DBPensiero 0 1024 Views

LOST HORIZON I (Antony Gormley, 2008)

Non sono iscritta al Partito Democratico. Il centrosinistra però è il campo in cui ho deciso di giocare la mia partita democratica, pertanto ho accettato con favore e con  spirito propositivo l’invito a partecipare a questo incontro “pro Renzi”, per contribuire con un mio “modestissimo” contributo ad un momento di riflessione, senza timore di dovre uscire di qui con l’etichetta di “renziana” “civatiana” “cuperliana”.

Sono stata eletta consigliera regionale attraverso il listino e da quasi otto mesi stiamo lavorando per dare nuovo slancio alla regione Lazio tutta, ma anche e soprattutto ai territori lontani da Roma. La qualità di questo sforzo la valuteremo tra 5 anni anche perché, per abitudine, tendo a non esaltarmi troppo per i traguardi parziali raggiunti lungo il percorso.

Sì, è vero, raggiungere un traguardo significa cambiare la vita delle persone, significa ridare speranze, significa portare ogni cittadino a credere un po’ di più nella capacità della politica di risolvere i suoi problemi pratici. Tutto questo è bello, è fondamentale. Ma non è sufficiente. Oggi non possiamo fermarci a gioire, dobbiamo avere l’ambizione di credere in una visione, di investire nel futuro dei nostri figli provando a metter in campo azioni strutturali che siano realmente in grado di dettare un cambiamento e tutto questo non accde in un mese o due, o meglio ancora a scadenza elettorale. Ora direte, cosa c’entra tutto questo con la battaglia per il congresso nel PD? Cosa c’entrano parole come visione e programma con un congresso? E allora rispondo, non lo so se c’entra, ma nel caso non dovesse entrarci sarebbe un problema.

Solitamente le battaglie congressuali si agitano attorno a un nome, a una tradizione, a una consuetudine, forse soprattutto a un sistema di potere. E tutto questo veniva (e voglio arrogrami il diritto della speranza a credere che tutto questo abbia fatto ormai il suo tempo) veniva chiamato lotta tra correnti. Le correnti tra loro concordavano gli equilibri interni al partito, decidevano la linea in reciproco ossequio e omaggiavano gli elettori di parte.

Tutto questo non potrà più esistere. Ma non per ragioni etiche, non voglio essere ingenua fino a questo punto. Non potrà più esistere perché il sistema verrebbe spazzato via dagli elettori. La massa elettorale è fluida, è liquida direbbe qualcuno, non è statica come qualche decennio fa. Non voglio ripetermi con la storia della crisi delle ideologie, ma la matrice è proprio là. Le logiche interne di partito sono oramai irrilevanti agli occhi degli elettori.

Basta guardare quello che è successo con le ultime primarie. Se ne è voluta fare una questione di metodo e il metodo ha premiato Bersani, ma Bersani era il candidato forte degli elettori del centrosinistra non il candidato ideale di una competizione elettorale aperta. Insomma, ha vinto il metodo ma abbiamo perso le elezioni…pareggiato? Ok, pareggiato, ma con gli stessi effetti della sconfitta.

E allora come se ne esce? Forse ci vorrà ancora qualche anno prima che la classe politica riesca a percepire fino in fondo la richiesta di concretezza e di ritmo forsennato (!) che arriva dagli elettori, forse ci vorrà qualche anno per evitare che i programmi (anche quelli congressuali) siano soltanto elenchi di buoni propositi e buoni sentimenti senza una sostanza di azione calata sulla realtà e sull’operatività, forse ci vorrà qualche anno per far capire a tutti i candidati del Partito Democratico che possono raccogliere un consenso più ampio di quello congressuale e che quindi devono aprire la discussione e non chiuderla.

Credo che Renzi su questi temi sia in vantaggio rispetto agli altri, forse ha aperto la strada al ripensamento generale. Probabilmente l’esperienza amministrativa gli sta consegnando anche quella capacità di sommare visione e quotidianità, insomma la filosofia dello scalatore che ha come obiettivo il raggiungimento della vetta (visione) e sa che dovrà preoccuparsi dell’efficacia di ogni singolo passo (quotidianità).

Che poi è il passo che sta contraddistinguendo il passo dell’amministrazione Zingaretti: Chiarezza della visione, riduzione della mediazione politica a vantaggio della sintesi delle volontà politica (e su questo passa la grande differenza tra il non fare e il fare),  azioni veloci, impegno costante e traguardi quotidiani.

Quando si parla di Renzi, si parla anche del trasformismo di molti, pronti a saltare sul carro del vincitore. Ci saranno i trasformisti, ci saranno gli opportunisti, ci saranno i doppiogiochisti e nessun processo alle intenzioni sarà utile per evitare il pericolo. Ma, se il Partito democratico uscirà dall’autoghettizzazione e si aprirà al dibattito con la società civile per progettare con metodo e intensità un Italia migliore, anche i trasformisti verranno disinnescati e saranno costretti a dare un contributo positivo se vorranno contare.

Al Partito Democratico in generale faccio l’augurio di raccogliere in pieno le richieste di efficienza (non voglio parlare di cambiamento) che arrivano dagli elettori, non mi riferisco alle richieste dei delegati del congresso ma a quelle di tutta quella popolazione dormiente che forse il giorno delle elezioni scioglierà le sue riserve e deciderà di “affidare l’incarico” al centrosinistra.

Con un po’ di realismo dobbiamo dire che forse è proprio lì il cuore della “democrazia deliberante” di cui sento parlare in questi mesi. Quindi non solo nella capacità degli iscritti di dettare la linea, ma anche nella volontà degli incerti di determinare la vittoria o la sconfitta.

(intervento 11 ottobre 2013 – Hotel Cesari)

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